La prima cosa che salta all’occhio quando si comincia a parlare di uncinetti non è la forma, che tutto sommato varia di poco da un modello all’altro, bensì il materiale: l’alluminio anodizzato dei ferri leggeri, il legno levigato dei pezzi artigianali, l’acciaio lucido degli attrezzi per i pizzi e perfino i nuovi polimeri tecnici che uniscono corpo rigido e impugnatura in silicone antiscivolo. Conservare in modo corretto questi strumenti significa riconoscere che ognuno di essi ha esigenze e vulnerabilità differenti. L’alluminio teme l’umidità prolungata perché la patina anodizzata, se graffiata, può macchiarsi di ossidazioni opache; il legno, pur protetto da oli naturali, risente delle variazioni di temperatura che ne dilatano le fibre causando microfessure; l’acciaio è più resistente ma può perdere la brillantezza se messo a contatto con residui acidi di alcuni filati trattati; i polimeri, infine, soffrono i raggi ultravioletti che col tempo induriscono le impugnature e le fanno screpolare.
Per iniziare una buona routine di conservazione la pulizia è centrale, e non deve essere confusa con la sterilizzazione: basta un panno in microfibra leggermente inumidito con acqua tiepida e una goccia di detergente neutro. Passare la superficie dell’uncinetto immediatamente dopo aver terminato un progetto rimuove residui di fibre, sebo delle mani e minuscole particelle abrasive che, restando adese al metallo o al legno, nel tempo funzionerebbero come carta vetrata invisibile. Gli uncinetti in legno gradiscono una carezza supplementare: quando il panno è ancora tiepido si versa una sola goccia di olio di semi di lino polimerizzato, la si strofina con movimenti lenti e circolari, poi si lascia riposare qualche minuto su un foglio di carta assorbente perché l’eccesso venga eliminato. Questo velo di olio nutre la fibra e crea una barriera traspirante che respinge l’umidità senza sigillare il legno a tal punto da farlo sudare in estate.
Una volta asciutti arriva il momento di scegliere il luogo dove questi attrezzi passeranno settimane, magari mesi, in attesa del prossimo lavoro. Chi dispone di un cassetto dedicato dovrebbe rivestirne l’interno con un feltro in lana sottile: è morbido, assorbe l’umidità ambientale meglio del cotone e impedisce agli uncinetti di scivolare urtandosi fra loro. Se il cassetto non è un’opzione e si preferisce un astuccio, il criterio diventa quello di tenere i ferri separati in fessure individuali, come in un portapenne arrotolabile di tessuto robusto. In questo modo il metallo non sbatte contro altre punte e la numerazione incisa sulla base non si cancella. Dentro l’astuccio può trovare posto un piccolo sacchetto di gel di silice rigenerabile: proteggere gli uncinetti dalla condensa è importante soprattutto per quelli in acciaio carbonioso, più propensi a imbrunire se dimenticati in ambienti umidi.
Le temperature estreme sono nemiche silenziose. In una soffitta che supera i trenta gradi estivi, la colla usata per fissare le impugnature ergonomiche può ammorbidirsi, mentre d’inverno, se il termometro scende sotto i cinque gradi, i ferri in legno rischiano di ritirarsi quel tanto che basta per creare una minuscola crepa di testa. Un armadio interno lontano da fonti di calore diretto, magari nella stanza dove abitualmente si lavora a maglia o ad uncinetto, offre il microclima più stabile. Non bisogna poi dimenticare che gli uncinetti sono strumenti di precisione: basta un colpo accidentale per incurvare la gola o la punta, alterando il gesto di chi lavora e affaticando il polso nel tentativo di compensare la devianza. Per questo è sconsigliato riporli in barattoli verticali come penne, a meno che non siano divisi da un alveare di cartone che li mantenga in verticale e distanziati.
Periodicamente è utile un controllo visivo. Ogni tre o quattro mesi estrarli uno ad uno, passare il polpastrello sulla scanalatura e verificare che la superficie sia ancora liscia: se si avverte un piccolo graffio, un filo di lana fine, passato avanti e indietro un paio di volte, rivela se il difetto tende a impigliarsi. Nel caso degli uncinetti in metallo si può intervenire con una pasta lucidante fine applicata su un dischetto di cotone, mentre il legno gradisce una paglietta d’acciaio extrafine usata con mano leggerissima, seguita da un nuovo velo d’olio. Chi possiede modelli in plastica o resina deve invece evitare qualsiasi abrasivo: un semplice polish per plexiglas ridona lucentezza e leviga eventuali micrograffi senza alterare la geometria.
Un capitolo a parte meritano gli uncinetti antichi, magari ereditati dalla nonna. Spesso sono realizzati in osso o in avorio vegetale, materiali porosi che reagiscono ai detergenti moderni con fessurazioni. Qui la parola d’ordine è “minimo intervento”: un pennello morbido, un soffio d’aria e poi riporli avvolti in seta o carta seta neutra, lontano da gomma e plastica che, col rilascio di plasticizzanti, ne ingiallirebbero la superficie. Se l’osso appare ingrigito, ci si limita a passarlo con panno di lino appena umidificato d’acqua demineralizzata, asciugando subito: tutto il resto lo fa il tempo, purché il microclima sia stabile.
Infine vale la pena ricordare che la migliore forma di conservazione passa dall’uso regolare. Un uncinetto che lavora mantiene la lucentezza più a lungo perché l’attrito del filato funziona come lucidatura continua. Quando si decide di lasciarlo in stand-by per mesi, è la stagione giusta per mettere in pratica questi accorgimenti: pulizia, asciugatura, protezione individuale e riposo in un luogo né troppo secco né troppo umido. Così, la prossima volta che servirà l’uncinetto del tre e mezzo, incrocerà la lana senza il minimo impuntamento, come se fosse uscito dalla scatola di un negozio di ferramenta proprio quel giorno.