Bianco immacolato, aspetto vaporoso, la meringa è un invito a mordere. Affondare i denti nella spuma evanescente dopo aver spezzato la superficie è una sensazione che non si dimentica, un’esperienza infantile che resta appiccicata come le briciole al cappotto.
Con una paternità contesa da mezza Europa, il mito vuole la meringa nata in Svizzera, a Meiringen appunto.
Comparsa e subito idolatrata nei menu reali del seicento, riprodotta da Maria Antonietta in persona nelle cucine del Trianon, il suo palazzo, la preparazione fa parte del percorso di formazione di ogni appassionato di cucina che si rispetti.
Pochi ingredienti: chiara d’uovo, zucchero a neve, doppio in peso all’albume e qualche goccia di limone.
Tutto il resto è chimica fisica degli alimenti.
L’uovo è composto da 65% acqua, % 11 grassi, % 12 sali minerali e 12% proteine.
Nella preparazione delle meringhe tutto ruota attorno alle proteine contenute nell’albume.
Le proteine, strutture organiche complesse, sono catene formate da numerose piccole molecole di carbonio, idrogeno, ossigeno e azoto, unite tra loro, dette aminoacidi. Questi ultimi creando legami tra loro fanno sì che la catena si pieghi in molti punti dando vita a una sorta di matassa o gomitolo.
La ricetta non prevede grassi, con buona pace della dieta, ma le calorie per un etto di prodotto sono quasi 280, consola che 100 grammi di meringa siano abbastanza voluminosi, la soddisfazione c’è insomma.
La preparazione inizia separando gli albumi dai tuorli, non si ammettono eccezioni, i grassi del rosso non consentirebbero alle chiare di montare. Pesate, vi servirà il doppio dello zucchero.
Con le fruste manuali o meccaniche sbattete gli albumi, le proteine in soluzione acquosa per sollecitazione meccanica e per il calore generato dallo stesso movimento si denaturano, cioè le lunghe catene si “srotolano” e si ricompongono in strutture che ricordano una rete, in essa restano intrappolate acqua e bolle d’aria generate dal movimento delle fruste.
Il limone è importante, perché ha diverse funzioni, a questo stadio acidificando debolmente il composto favorisce una più rapida denaturazione delle proteine.
Non aggiungete subito lo zucchero, limiterebbe la capacità di incorporare aria e porterebbe ad un risultato meno soffice, ma se amate la meringa stopposa fate pure. Lo zucchero a neve, semplice da sciogliere, va aggiunto quando gli albumi avranno un volume considerevole, triplicato rispetto a quello iniziale.
Inserite lo zucchero continuando a lavorare con le fruste.
Lo sanno tutti, il composto è pronto quando rivoltando il contenitore la spuma resta lì immobile.
Non esagerate con le fruste – gli albumi al massimo decuplicano il proprio volume – sbattendo prolungatamente, il reticolo proteico si stringe sempre di più facendo schizzare fuori l’acqua, a questo punto la meringa è impazzita e sarà tutto da rifare.
Dopo che avrete dato una forma al vostro composto con la sac a poche o a proletarie cucchiaiate, si va ad infornare.
Le proteine coagulano, seccano, a temperature comprese fra i 60° e gli 85°C, perciò il termostato dovrà consentirvi una cottura costante attorno ai 100° C. Inoltre lo zucchero a 120° C caramellizza e diventa bruno – avete presente la crosticina sopra la crema catalana? Così – al di sotto di questa temperatura lo zucchero indurisce restando chiaro.
A 100 gradi si mantiene il candore e si assicura una cottura perfetta, temperature inferiori lascerebbero l’interno della meringa molliccio e umido. Il limone aiuterà ad intensificare il colore bianco, mitigando nel contempo il sapore di uovo, diciamolo, poco gradevole.
Occorrono circa due ore di cottura.
Perciò che stiate preparando una monumentale pavlova o minuscole meringhe da tuffare nel caffè non siate frettolosi nell’aggiunta dello zucchero, e fate diventare il controllo della temperatura del forno l’elemento base.